In un momento di tensione crescente tra protezionismo e apertura culturale, il cinema diventa terreno di confronto politico e simbolico. Da un lato, Donald Trump minaccia di imporre dazi ai film prodotti all’estero per tutelare l’industria hollywoodiana; dall’altro, le grandi produzioni statunitensi continuano a dominare il box office italiano e a scegliere l’Italia come set privilegiato. In mezzo, Cinecittà e il sistema cinema italiano cercano il proprio spazio, puntando su agevolazioni fiscali e sulla “grande bellezza” del Belpaese per attrarre investimenti e rilanciare la produzione nazionale.
Nel 2024, i film americani hanno incassato in Italia ben 268 milioni di euro, pari al 54,2% del totale, staccando nettamente i titoli italiani, che si sono fermati a 121,4 milioni (24,6%). Il divario è ancora più evidente in termini di pubblico: 36,4 milioni di spettatori per i film USA contro i quasi 18 milioni di quelli italiani. Il primo incasso dell’anno? Inside Out 2, con 46,5 milioni di euro. Il miglior risultato italiano è Il ragazzo dai pantaloni rosa, con 9 milioni, decimo in classifica generale.
Eppure, mentre il cinema americano domina le sale, le sue grandi produzioni trovano sempre più casa proprio in Italia. Grazie al tax credit, all’impegno delle film commission locali e a un patrimonio culturale e paesaggistico ineguagliabile, l’Italia è diventata una meta ambita dalle major. A Roma e dintorni, Cinecittà ospita set hollywoodiani di altissimo profilo: The Dog Stars di Ridley Scott e The Odyssey di Christopher Nolan sono solo due esempi recenti. In totale, sono attualmente attivi nel paese 30 set cinematografici, di cui più di una decina internazionali.
Emanuela Cacciamani, amministratrice delegata di Cinecittà, sottolinea il valore di questo sistema integrato: “Le produzioni americane beneficiano non solo dei nostri incentivi fiscali, ma anche di un ecosistema unico fatto di location mozzafiato, cultura e stile. È fondamentale che questa cooperazione continui, per generare valore economico e culturale a livello globale”.
Dietro le quinte, i numeri sono eloquenti: per The Dog Stars, Ridley Scott ha assunto oltre 400 lavoratori italiani e 100 stranieri; Nolan, per 12 settimane di riprese, ha coinvolto 220 professionisti italiani e 250 americani. Un indotto importante, che testimonia come la collaborazione possa essere motore di crescita. Tuttavia, come ricorda Sabina Di Marco della Slc Cgil, manca ancora un quadro chiaro e aggiornato sugli effetti economici e occupazionali reali: “È un settore difficile da monitorare, ma resta il fatto che immaginare dazi sul cinema è surreale e antieconomico. La cultura è per definizione transnazionale”.
Nel frattempo, l’Italia prova a esportare il proprio cinema. Dal 29 maggio al 5 giugno, la rassegna Open Roads: New Italian Cinema, organizzata da Cinecittà e Film at Lincoln Center, porterà a New York 14 titoli italiani in anteprima americana. Un tentativo di riequilibrare una bilancia culturale e commerciale ancora fortemente sbilanciata.
Tra dazi, agevolazioni e visioni contrapposte della cultura, il cinema si conferma specchio dei nostri tempi: globale per natura, ma costantemente tirato in ballo nelle battaglie politiche. E forse, proprio per questo, più potente che mai.
06/05/2025
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