Roma – È un viaggio tra mito, poesia e materia quello proposto da Wangechi Mutu alla Galleria Borghese con la mostra Poemi della terra nera, visibile dal 10 giugno al 14 settembre. Un’esposizione potente e trasformativa, che segna un nuovo capitolo nel dialogo tra arte contemporanea e i tesori del barocco italiano, nel cuore della residenza del Cardinal Scipione Borghese.
Dopo l’imponente debutto sulla facciata del Metropolitan Museum di New York, le due cariatidi bronzee di Mutu – figure femminili africane forti, autonome, regali – approdano ora all’ingresso della Galleria Borghese. Non sorreggono architetture, ma dominano lo spazio, introducendo il visitatore a un’esperienza sensoriale e spirituale che scorre tra le sale interne, i giardini segreti e persino oltre, fino all’American Academy in Rome.
Materia e memoria
Curata da Cloé Perrone, la mostra è parte della rinnovata vocazione della Galleria per l’arte contemporanea, dopo le recenti esposizioni di Giuseppe Penone e Louise Bourgeois. Ma con Mutu il museo si apre anche alla poesia come forma tangibile, come elemento vivente. La “terra nera” evocata nel titolo – fertile, malleabile, vibrante di pioggia – si manifesta sin dall’ingresso: con l’opera Grain of words, Mutu distilla in polvere di tè e caffè alcuni versi di War di Bob Marley, a sua volta ispirato da un discorso di Haile Selassie contro il razzismo.
Questa materia terrestre e simbolica ritorna nei Giardini Segreti, dove creature ibride – come la sirena Water Woman o Nyoka, enorme serpente in bronzo – incarnano il tema della metamorfosi, così caro alla collezione Borghese. “La trasformazione della materia – spiega la direttrice Francesca Cappelletti – è un punto d’incontro tra la poetica di Mutu e quella di Bernini, dove natura e umano si fondono in una narrazione scultorea che si rinnova”.
Sculture come voci
All’interno, Mutu reinterpreta lo spazio senza oscurare la collezione storica: le sue opere si sovrappongono con delicatezza, si accostano, si insinuano. Bloody Rug giace sul pavimento, intriso di rossi profondi che evocano ferite e cicatrici collettive. Le Weeping Heads – teste femminili sospese, in legno e terra rossa – sembrano piangere linfa vitale, dialogando con l’ambiente circostante.
In Prayers, grani di preghiera fluttuano come rosari sospesi tra culture e spiritualità. Throned, figura in terra e pigmenti naturali, siede con una regalità arcaica e silenziosa, evocando una connessione ancestrale tra corpo e terra.
La mostra si articola così in due sezioni: una dentro le sale della villa, l’altra nei giardini e negli spazi esterni, in un continuo spostamento tra spazio fisico e immaginazione. Un'ulteriore estensione si trova all’American Academy in Rome con Shavasana I, figura bronzea distesa in una posa di abbandono e dignità. Collocata tra iscrizioni funerarie romane, l’opera dialoga con il tema della morte come passaggio, non come fine.
Un museo come organismo vivente
Poemi della terra nera è molto più di una mostra: è una riflessione sulla memoria, sul corpo, sul dolore e sulla rinascita. È un invito a vedere la Galleria Borghese non solo come un contenitore del passato, ma come un organismo vivente, capace di accogliere la pluralità dei racconti e di trasformarsi con essi. Il video The End of eating Everything, installato su un lato esterno del museo, aggiunge una dimensione immersiva e multimediale a questa narrazione stratificata.
Sostenuta da Fendi e accompagnata dal ciclo di incontri Esistere come donna – organizzato da Electa con Fondazione Fondamenta – l'esposizione di Mutu è una chiamata poetica e politica: a riconoscere nella materia della terra la voce di chi non ha avuto parola, e a scoprire, in mezzo alla bellezza, le ferite del mondo.
“Poemi della terra nera” – Wangechi Mutu
Galleria Borghese, Roma
Dal 10 giugno al 14 settembre 2025
A cura di Cloé Perrone
10/06/2025
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