Vincenzo Alfieri porta sullo schermo l’umanità di un ragazzo che non restò indifferente
Alla Festa del Cinema di Roma, in concorso nella sezione Progressive Cinema, è arrivato con la forza di un pugno nello stomaco “40 secondi”, il nuovo film di Vincenzo Alfieri dedicato alla memoria di Willy Monteiro Duarte, il giovane ucciso a Colleferro nella notte tra il 5 e il 6 settembre del 2020. Un titolo che pesa come una sentenza: il tempo impiegato per togliere la vita a un ragazzo di ventun anni, e con essa l’illusione che certi episodi appartengano solo alla cronaca.
Il film, che uscirà nelle sale italiane il 19 novembre distribuito da Eagle Pictures, ricostruisce con intensità le ventiquattro ore che precedettero l’omicidio, alternando tensione, fragilità e senso di ingiustizia. Alfieri, alla sua prima regia, sceglie uno stile quasi documentaristico, con inquadrature ravvicinate e grande libertà interpretativa concessa al cast, per catturare – come spiega lui stesso – “le micro espressioni, i movimenti minimi, quelli che fanno parte della nostra quotidianità”.
Un cast tra realtà e interpretazione
Accanto ad attori affermati come Francesco Gheghi, Enrico Borello, Francesco Di Leva, Maurizio Lombardi e Sergio Rubini, Alfieri ha voluto coinvolgere anche giovani scelti tramite street casting, per restituire autenticità e aderenza alla realtà. Justin De Vivo interpreta Willy, mentre Beatrice Puccilli, Giordano Giansanti e Luca Petrini vestono i panni dei fratelli Marco e Gabriele Bianchi, condannati e oggi in carcere.
Per Francesco Di Leva, aderire al progetto non è stata una scelta artistica ma civile:
“Ci sono film che non si fanno per interpretare un personaggio, ma per dire da che parte si sta. Questo era uno di quelli.”
Un film che parla al presente
“Quando mi hanno proposto il libro – racconta Alfieri – ho avuto dei dubbi. Era una storia già raccontata molte volte. Ma poi ho capito che si poteva raccontare Willy come simbolo di un’umanità che non resta indifferente in un mondo anestetizzato dalla violenza.”
Un’umanità che il film cerca di restituire attraverso una regia empatica, fatta di sguardi e silenzi più che di parole, e un set in cui – come ricorda Enrico Borello – “non c’erano gerarchie, ma un gruppo di persone che vivevano insieme la stessa verità”.
Un cinema necessario
Il produttore Roberto Proia, già autore de Il ragazzo dai pantaloni rosa, sintetizza lo spirito dell’opera:
“Là fuori c’è un pubblico che ha bisogno di storie che urlano per essere raccontate. Non si può morire in 40 secondi senza un motivo. I film non cambiano la realtà, ma possono aiutarci a guardarla.”
E forse è proprio questo il senso più profondo di 40 secondi: un film che non si limita a ricostruire un fatto di cronaca, ma prova a restituire dignità e consapevolezza, trasformando la violenza cieca in una riflessione collettiva sul coraggio, sull’empatia e sulla responsabilità civile.
18/10/2025
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