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DUECENTO ANNI DALLA MORTE DI NAPOLEONE

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A Maggio  come ogni anno la mente di molti italiani va a Napoleone e alla sua “gloria”...“Ai posteri l’ardua sentenza”. Con la saggia scelta di astenersi dal valutare un protagonista della storia troppo a ridosso degli eventi, Alessandro Manzoni, nei martellanti decasillabi del “Cinque Maggio”, spostava il giudizio su Napoleone dal terreno politico a quello religioso, accogliendo con lo zelo del convertito la notizia che il vecchio persecutore del Papato fosse morto con i conforti della fede.

Ma ormai sono passati più di duecento anni dalla morte del Bonaparte e i posteri siamo noi. Che pure non sembriamo capaci, a destra come a sinistra, di giudicare se quella di Napoleone sia stata una gloria vera.

La spietata repressione della resistenza in Spagna, i saccheggi e gli stupri che accompagnarono la campagna d’Italia, i furti sistematici delle nostre opere d’arte, l’ignobile baratto del Veneto con il Belgio, che suscitò lo sdegno del Foscolo, il rapimento e la fucilazione del duca d’Enghien, che gli valsero l’eterna inimicizia di Chateaubriand, la megalomania che lo spinse a sacrificare intere classi di leva ai suoi sogni di grandezza, nella cinica convinzione che tanto “una notte d’amore di Parigi” gli avrebbe restituito i suoi battaglioni scompaiono dall’atto d’accusa della sinistra, oscurati dalle violazioni dei diritti dei “neri” e delle donne.

Il Bonaparte portò forse in tutta Europa un codice liberale, ma con metodi illiberali; il vero liberalismo, sia pur con tutti i suoi limiti, soprattutto per quanto riguarda la questione irlandese, era quello della Gran Bretagna dell’habeas corpus, che fu anche per questo, oltre che per motivi geopolitici, la più strenua avversaria dell’Imperatore

11/05/2021

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