In via Bobbio, davanti a una scuola elementare romana, una nuova immagine ha interrotto per un attimo la routine dei passanti: un bambino palestinese amputato, due lacrime nere che scendono dal volto e una scritta che rimbomba come un’accusa globale: “Shame on you”. È la più recente opera di Laika, la street artist che da anni utilizza i muri delle città come luogo di denuncia civile.
L’artista spiega che il messaggio è rivolto «a chi è autore o complice di genocidio» e che, nella Giornata mondiale dell’infanzia, è impossibile ignorare la portata delle tragedie che colpiscono i più piccoli. La collocazione dell’opera davanti a una scuola non è casuale: un contesto di quotidianità pacifica che fa da contrappunto alla brutalità evocata dall’immagine.
Il peso dei numeri, il silenzio delle coscienze
Laika accompagna il suo intervento con parole dure: «Abbiamo tradito i diritti dei bambini. Il mondo dovrebbe vergognarsi». A supportare questa denuncia arrivano i dati di Save the Children, che raccontano un quadro devastante: oltre 20.000 bambini uccisi a Gaza dall’ottobre 2023, più di 64.000 tra uccisi e mutilati, mezzo miliardo di minori che vivono in zone di guerra e un bambino in fuga ogni 10 secondi in Sudan.
La street art, in questo caso, non è solo gesto estetico ma manifesto politico, un monito che si impone nello spazio urbano e costringe a guardare ciò da cui spesso distogliamo lo sguardo. L’opera di Laika diventa così una ferita aperta nel tessuto della città, un richiamo alla responsabilità collettiva, un’urgenza che rifiuta la neutralità.
L’arte come resistenza
Ancora una volta Laika dimostra come l’arte urbana possa assumersi il compito di raccontare l’indicibile, trasformando un muro in un atto di resistenza visiva. Nel suo linguaggio diretto, privo di filtri, si ritrova una tradizione che lega la street art alle lotte sociali, alla difesa dei diritti umani, all’idea che l’arte debba abitare i luoghi pubblici per interrogare il presente.
A Roma, quel bambino ferito resta lì a ricordare che la Giornata mondiale dell’infanzia non è solo celebrazione, ma memoria e denuncia. E che, come suggerisce Laika, la vergogna non è dell’immagine: è di chi la guarda e continua a rimanere in silenzio.
21/11/2025







Inserisci un commento